Orti (eroici) lucani

E' un pomeriggio d'agosto del 2017, nel bel mezzo di un'estate che sarà ricordata tra le più calde di sempre, quando il navigatore della mia auto mi porta nel parcheggio di uno dei palazzi di Via Ondina Valla, nel quartiere di Macchia Romana, alla periferia di Potenza. Sono in viaggio per Matera, ma da alcuni giorni ho scoperto che il progetto "Comunità a raccolta, oltre il proprio orticello" ha dato vita ad una grande area ortiva proprio in questo frammento del capoluogo amministrativo lucano e, come accade spesso, sono venuto a vedere con i miei occhi come vanno avanti le cose. Non sono pochi, infatti, i casi in cui ai grandi fasti di internet corrisponde una realtà assai desolante. Non in questo caso: qui gli orti ci sono e sono rigogliosi. Il progetto promosso dal Circolo Legambiente Ken Saro Wiwa in collaborazione con il Comune di Potenza e sostenuto dal Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali attraverso il Fondo dell’Osservatorio Nazionale per il Volontariato continua a dare i propri frutti.

Quando spingo il cancello che delimita l'area degli orti sociali mi accoglie il sorriso di uno dei concessionari. Scoprirò molte cose su di lui nei pochi minuti in cui parliamo, ma la più importante è che si tratta di un quarantenne: questo è un luogo in cui coltivano fianco a fianco anziani e giovani. "Si impara gli uni dagli altri", dice il mio interlocutore, "e io che sono tra i meno esperti ho molto da imparare". Mi guarda un po', poi prosegue: "per esempio dovrei imparare che non è questa l'ora giusta per dare l'acqua, ma io sono libero in questo momento e non ho altre possibilità. Venire la sera è anche più bello perché si chiacchiera un po' con gli altri", prosegue lui mentre mi muovo tra gli orti osservando e scattando fotografie. Io sono già rapito da quel che vedo e che sento.

Trovo conferma a molte mie idee: gli orti urbani sono spazi di apprendimento, di scambio, di socializzazione. Sono anche spazi di riqualificazione del paesaggio urbano, di biodiversità agraria, di riconquista di funzioni e opportunità. Prova ne sia il fatto che, oltre agli orti, quest'area ospita anche degli alveari. Sono arrivati grazie al progetto pilota Api e Orti, un’iniziativa che prevede il monitoraggio delle api collocate presso orti urbani al fine di valutare lo stato di salute degli insetti e, di conseguenza, la qualità ambientale degli spazi circostanti. Oltre a Potenza, sono coinvolte le città di Milano e Bologna.

Le api voleranno, monitorate almeno fino a questo autunno, sui 34 lotti ortivi di circa 65 metri quadrati ciascuno che coprono una superficie complessiva di 3.500 metri quadrati. Non solo orti sociali, già menzionati, ma anche orti per le famiglie, tutti assegnati attraverso un bando ad evidenza pubblica in base a criteri di reddito, età e residenza nel quartiere. Gli orti sociali hanno l’obiettivo principale di rompere l’isolamento di alcuni gruppi di cittadini, come gli anziani, incentivando fenomeni di socializzazione e incontro. Gli orti per le famiglie costituiscono principalmente un'iniziativa di sostegno al reddito attraverso la produzione orticola finalizzata all'autoconsumo. La vita degli orti è normata, come altrove, da un regolamento che i concessionari si impegnano a rispettare. Quelle appena trascritte non sono parole vuote, ma una realtà concreta che ha preso il via nel maggio 2015 e che naviga ormai oltre il secondo anno di vita.

“Quest’area, altrimenti abbandonata", leggo in una nota di Legambiente, "è stata salvata dalla cementificazione selvaggia grazie all'impegno di volontari, cittadini comuni che hanno deciso di dedicarsi alla cura di questa piccola casa comune". In due anni dagli orti sono passate scolaresche, ragazzi del servizio civile, associazioni che svolgono attività con persone diversamente abili e molti altri cittadini. "Ogni giorno facciamo un piccolo passo in avanti verso la costruzione di una città diversa, improntata a stili di vita sostenibili”, prosegue la nota. Io, intanto mi incanto davanti alle parole di  Ken Saro Wiwa che campeggiano sul muro della rimessa degli attrezzi.



Ancora qualche scatto, poi il saluto con l'ortolano sorridente (abbiamo parlato senza dirci i nomi perché in certi orti sembra di conoscersi già dopo due parole). La famiglia mi aspetta per proseguire verso Matera.

Non sono i chilometri a separarmi dagli orti di Agoragri, ma la scoperta di una città meravigliosa e della sua storia che sa di resurrezione, di un miracolo sociale e culturale che ogni giorno auspico per il nostro paese. La città della vergogna nazionale ai tempi di De Gasperi che nel 2019 sarà Capitale europea della cultura! L'unico timore è che l'Italia debba ancora scoprire quest'eccellenza nazionale, un po' come fu costretta a scoprire dalle parole di Carlo Levi lo stato di miseria e disgrazia in cui versava la città subito dopo la Seconda Guerra Mondiale.

"Tu lo conosci il carosello, vero?", mi chiede Mariella mentre ci aggiriamo negli spazi di Agoragri, in Via dei Normanni a Matera. Io che due giorni prima ho scoperto il peperone crusco e che ancora non ho parlato, come avverrà dopo poche ore, con uno chef mi incanterà descrivendo l'uso del Peperone di Senise, la guardo con una faccia che, probabilmente, dice più di molte parole: della biodiversità locale non ne so proprio niente. Il tramonto incombe, ma Mariella non si arrende e mi descrive questa cucurbitacea senza fermarsi un attimo. Agosto quest'anno è tremendo e, se gli orti lucani di cui parlo vivono una canicola attenuata dalla quota, la siccità è tremenda. Così ad una parola seguono un getto d'acqua, una manopola da girare, un'imprecazione e un sospiro di sollievo. Sul finire darò una mano anch'io perché in alcuni punti l'impianto di irrigazione non c'è e il tubo dell'acqua non arriva. Usiamo dei secchi che sembrano la soluzione migliore del mondo e io rifletto su come gli orti urbani siano capaci di portare sotto gli occhi di tutti una biodiversità che è contemporaneamente biologica, agraria e culturale. Non solo: gli orti si presentano come uno scrigno dei saperi pronto a schiudersi di fronte ad un occhio attento e una mano volenterosa.

"Agoragri", dice Mariella, è il sogno di Mimi Coviello che diventa un parco urbano pubblico con un orto sinergico, un teatro di paglia, degli orti familiari e un padiglione di legno per gli eventi". Ancora una volta è tutto vero e piacevolmente davanti ai miei occhi. Forse è molto di più, è anche la caparbietà di chi non si arrende di fronte agli spazi cittadini che diventano dei "non luoghi", semplici brandelli di territorio attorniati da strade e case per i quali non si trova un uso adeguato e che si finisce per abbandonare a sé stessi. Il lavoro dell'Associazione Agrinetural, che ha fatto nascere questo spazio, mira proprio "a capire e sviluppare un metodo operativo per riqualificare gli spazi verdi abbandonati e/o inutilizzati delle città, al fine di trasformarli in orti e giardini, luoghi di relazione, promuovendo buone pratiche di agricoltura urbana e l’ecologia civica, unendo tradizione e innovazione e proponendo un programma educativo per la sensibilizzazione e l’apprendimento tecnico". A questo scopo ha sviluppato una piattaforma digitale che mette in relazione gli spazi verdi urbani dismessi con le comunità di cittadini che desiderano prendersene cura.

Non c'è solo terra smossa in quest'orto e le risorse per realizzare quello che campeggia davanti ai miei occhi l'Associazione Agrinetural ha dovuto trovarle partecipando a bandi e concorsi, facendo rete in un sistema virtuoso. Agoragri, infatti, è stato realizzato nell'ambito del progetto Basilicata Fiorita 2015, promosso dalla Fondazione Matera-Basilicata 2019 e dal Comune di Matera, congiuntamente al bando Nuovi Fermenti 2014 della Regione Basilicata. Non solo: il lavoro volontario di alcuni semplici cittadini e l'aiuto di partner tecnici e sponsor pubblici e privati sono stati determinanti, così come un approccio molto particolare alle realizzazioni. Il teatro e il padiglione eventi sono nati in concomitanza di workshop formativi dando un senso didattico non solo agli spazi progettati e realizzati, ma anche alla loro costruzione. Si tratta di un approccio non comune che procede proprio mentre scrivo grazie all'iniziativa "Piantiamo il futuro ad Agoragri" durante la quale è prevista la nascita dell'oliveto. Ma ci sono anche laboratori per bambini e talks durante i quali si riflette sul ruolo degli spazi verdi urbani, di come può nascere una community degli orti e di come essa possa vivere dandosi delle regole. E su questo aspetto si gioca, probabilmente, il futuro di questo progetto che, non va dimenticato, vive il proprio primo anno di vita.

Nei suoi orticelli tondeggianti e nell'orto sinergico si trovano, forse, le chiavi del successo di un'operazione che è, a mio modo di vedere, soprattutto un'intervento di ingegneria sociale nel quale, ancora una volta l'orto è più strumento che fine, più occasione e mezzo che obiettivo. Non è un caso che l'Università della Terza Età sia stata una delle prime realtà che ha avviato una collaborazione attraverso la coltivazione e che guardando questo spazio al tramonto sembra che manchi una sola cosa: le biciclette dei bambini. Arriveranno, ne sono sicuro, perché i bimbi sono bravi a scoprire le cose che sanno di buono. Con loro arriveranno le famiglie e si scopriranno nuovi modi di fare comunità. Matera è troppo vivace per perdere un'occasione del genere, troppo eroica per non riempire di vita che spazio che nasce vivo per vivere. 

Mentre osservo Mariella al lavoro in un tramonto d'agosto, faccio anche una promessa a me stesso: tornerò in questi orti eroici per capire come queste due esperienze siano capaci di cambiare il destino della lucania dei quartieri, quella della gente di Potenza e Matera.




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